Architettura e Modernità
dal Bauhaus di Gropius alla rivoluzione informatica di Ito
Antonio Saggio - Roma, 2010
27. Il Mondo decostruito
Nel novembre del 1988, a New York, è stata inaugurata la mostra "Deconstructivist Architecture", un evento fondamentale per l’architettura contemporanea, curata da Mark Wigley con Philip Johnson come grande ispiratore. La mostra ha avuto un impatto notevole sul dibattito architettonico degli anni successivi, tanto da orientare la produzione di opere di architettura verso una direzione radicalmente diversa. Johnson, già noto per aver introdotto l’architettura funzionalista negli Stati Uniti nel 1932 con una mostra al MoMA, ha voluto utilizzare questa nuova esposizione per lanciare una corrente che sfidava il postmodernismo ormai in declino.
Il focus della mostra era su sette architetti principali, tra cui Peter Eisenman, Zaha Hadid, e Frank Gehry, quest’ultimo già noto per una monografica del 1986. Insieme a loro erano presenti altre figure come Bernard Tschumi, Daniel Libeskind e Rem Koolhaas. Questi architetti si distinguevano per il loro approccio non convenzionale, in cui l'architettura si stava allontanando da forme classiche e funzionaliste, proponendo opere frammentate, dinamiche e aggressive nei confronti della tradizione.
Il successo della mostra può essere attribuito a vari fattori, come la selezione ristretta dei partecipanti, il prestigio del MoMA, e il contesto storico, caratterizzato dalla stanchezza del dibattito postmoderno e dal crescente interesse per nuove modalità espressive. Un elemento centrale è stato l’introduzione del termine "decostruzione", che richiama il pensiero filosofico di Jacques Derrida. La decostruzione, originariamente una teoria filosofica, si applicava all'architettura come un processo di "riapertura" del significato dei testi convenzionali, per esempio, trasformando una casa in stile olandese, come quella progettata da Gehry, in un'icona casuale e disordinata che ribalta il tradizionale ordine degli spazi e dei materiali.
Nonostante il termine "decostruzionismo" sembri suggerire un nuovo stile architettonico, questo non era l'intento esplicito degli architetti coinvolti, che preferivano evitare etichette rigide. Tuttavia, la percezione mediatica lanciò il decostruzionismo come un "nuovo stile" che, almeno nella vulgata popolare, succedeva al postmodernismo. Johnson, con la sua visione politica, voleva che l’architettura rinnovasse continuamente le sue forme per mantenere rilevanza nella società.
La mostra di New York ha avuto ripercussioni enormi sull’architettura degli anni successivi, con una proliferazione di opere che riflettevano i temi della frammentazione, del movimento e della rottura con la tradizione. Tuttavia, questi sviluppi architettonici si inserivano anche in un più ampio contesto storico, segnato da cambiamenti geopolitici globali. Il 1989, con la caduta del Muro di Berlino, ha segnato simbolicamente la fine di un’epoca, mentre la globalizzazione economica iniziava a muovere le sue prime mosse. L’architettura si trovava ora ad affrontare una realtà più complessa, in cui la storia e la politica giocavano un ruolo fondamentale nel definire le nuove pratiche progettuali.
In questo contesto, si inserisce anche la figura di Daniel Libeskind, che ha raggiunto notorietà con il suo progetto per il Museo Ebraico di Berlino. Libeskind, nato in Polonia nel 1946, ha avuto una formazione multidisciplinare, tra musica, filosofia e architettura. La sua ricerca si è caratterizzata per un approccio assolutamente innovativo, in cui l’architettura diventa un mezzo per raccontare storie e esperienze vissute. Il Museo Ebraico, con le sue linee spezzate e angolari, simboleggia la frattura storica e culturale, raccontando un dramma collettivo attraverso lo spazio. Libeskind ha continuato a sviluppare questa visione con altri progetti significativi, come l’ampliamento del Victoria & Albert Museum di Londra, sempre caratterizzati da un linguaggio architettonico in cui la forma è intrinsecamente legata al concetto di dramma e di stratificazione della realtà.
Questa trasformazione dell'architettura, in cui le linee e le forme assumono un significato simbolico e narrativo, ha segnato una fase di profonda riflessione sulla funzione dell'architettura nel contesto storico e culturale, dando vita a una nuova generazione di progetti che sono al contempo estetici e significativi.
L’architettura, infatti, comincia a riflettere la crescente centralità dell’informazione e della comunicazione, tematiche che emergono con forza negli anni Novanta. In questo quadro, il sociologo Alvin Toffler, nel suo libro La Terza Ondata (1980), descrive una trasformazione della società umana che, dopo aver attraversato l'era agricola e quella industriale, è entrata in una "terza ondata" dominata dall'informazione. L'informazione diventa un elemento centrale non solo nei settori legati alla cultura e alla tecnologia, ma anche nella produzione di beni materiali: ad esempio, il valore di un prodotto agricolo o di un'auto dipende in gran parte dalle informazioni legate alla sua produzione e distribuzione. Toffler sostiene che l'informazione è il valore aggiunto che rende competitivi i beni.
Nel campo dell'architettura, questo cambiamento si riflette nel passaggio da un design funzionalista a un'architettura che esiste in quanto "informa", partecipando così al vasto mondo della comunicazione. Le città cominciano a competere tra loro non solo per la qualità della vita, ma anche per la capacità di attrarre residenti qualificati attraverso progetti architettonici che siano anche simbolici e informativi.
Un esempio emblematico di questa tendenza è il Museo Kiasma di Steven Holl, che esprime perfettamente l'idea dell'architettura come comunicazione. Kiasma, situato nel centro di Helsinki, si inserisce in un contesto urbano complesso e il suo progetto è stato selezionato tra 521 partecipanti al concorso. Holl, che ha sviluppato una poetica architettonica originale, si distacca dalle tendenze contemporanee e punta su un'architettura fenomenologica e metaforica, dove l'uso di simboli e forme richiama un significato più profondo. Il museo è caratterizzato da un'innovativa interazione con l'ambiente circostante e dall'uso di spazi che si collegano simbolicamente alla città. La sua forma, ispirata alla figura del "chiasma" (un incrocio di flussi), riflette l'idea di connessione e scambio, sia fisico che concettuale, tra i vari elementi della città. Questo approccio rende l'architettura di Holl un esempio paradigmatico della "città dell'informazione", dove simboli, significati e funzioni si intrecciano per creare un nuovo tipo di spazio urbano.
L'architettura degli anni Novanta, rappresentata dal Museo Kiasma e da altri progetti contemporanei, mostra quini come la comunicazione e la simbologia siano diventati elementi cruciali nel design urbano e nell'architettura, riflettendo la centralità dell'informazione nella società moderna.
Si pone poi l’accento su un momento cruciale nell'architettura contemporanea, caratterizzato da una nuova concezione della città, influenzata dalla "società dell'informazione". In particolare, vengono affrontate due questioni di grande rilevanza: le brown areas (aree dismesse), che rappresentano nuove opportunità per la città contemporanea, e la riconsiderazione del rapporto tra architettura e natura. L'esempio di Potsdamer Platz, con il progetto del Renzo Piano Building Workshop (RPBW), diventa emblema di questi principi, mostrando come la città post-industriale non sia più rigidamente suddivisa in funzioni separate, ma piuttosto caratterizzata da una "mixité", un intreccio di usi che riflettono la flessibilità e la dinamicità della società contemporanea.
L'idea di città proiettata da Piano è quella di una "città anti-zoning", dove le funzioni non sono più segregate in zone distinte, ma si mescolano liberamente, riflettendo la fluidità del tempo e dello spazio proprio della società dell'informazione. Questo nuovo approccio si manifesta nell'uso combinato di spazi residenziali, commerciali, direzionali e culturali, accompagnato da una rinnovata attenzione alla natura e agli spazi verdi come parte integrante della città.
Parallelamente, si esplorano anche altre esperienze significative di architettura urbana, come quelle di Miralles e Pinos a Barcellona, che mostrano come l'architettura può trasformarsi in un "paesaggio metaforico" che non solo dialoga con la città ma ne diventa parte integrante e simbolica. Il progetto di Potsdamer Platz di Renzo Piano diventa così un punto di riferimento per questa nuova visione della città, esemplificando un tipo di architettura che non è solo funzionale ma anche profondamente simbolica, capace di riflettere le trasformazioni sociali ed economiche della contemporaneità.
Miralles e Pinos sono tra i primi architetti a realizzare, nei primi anni Novanta, opere che evidenziano alcune idee fondamentali di interscambio tra paesaggio e architettura, concetti già anticipati da Zaha Hadid nel 1983. Questi progettisti integrano i processi naturali nei loro lavori, riflettendo una crescente consapevolezza dei limiti delle risorse planetarie e della necessità di un'architettura che rispetti le leggi ecologiche e sistemiche. Tuttavia, questo approccio rimane inizialmente solo una premessa, senza una realizzazione pienamente sistematica e attenta alle problematiche ecologiche. L'architettura è chiamata a rispondere a domande cruciali su come integrare gli spazi abitativi con la natura, come progettare in modo dinamico e sensibile al contesto climatico, e come considerare la crescita futura dell'ambiente costruito.
Un esempio significativo di questo approccio è la Casa Simpson-Lee di Glenn Murcutt, che fonde design leggero e adattivo con il paesaggio. Murcutt, così come altri architetti, si ispira all'idea di un'architettura che "naviga", sollevata dal terreno e in grado di aprirsi e chiudersi in risposta al clima.
Nel 1991, viene completato il progetto Biosphere 2, un'ambiziosa opera ecologica e architettonica nel deserto dell'Arizona, ideata da John Allen. L'edificio riproduce sette biomi in equilibrio ecologico, progettato per studiare la sostenibilità e le interazioni tra ambiente e esseri viventi. Biosphere 2 è un sistema chiuso che gestisce autonomamente acqua, cibo e aria, applicando principi di riciclo e autosufficienza. Sebbene l'esperimento abbia avuto dei limiti, segnò un passo fondamentale verso un'architettura non dipendente da infrastrutture esterne, ma autonoma dal punto di vista energetico e vitale.
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